lunedì 28 maggio 2007

Mare marrone


Arriva la pioggia. L’ho presa tutta e non mi sono spaventato. Le grinze sui piedi rinchisi per troppo tempo nelle scarpe pesantissime e quelle sulle mani non mi spaventano. Mi è sempre piaciuto quell’invecchiamento innaturale. La scia di acqua e fango che sale dalle ruote e sbatte sul ferro della bici e sul mio sedere non infastidisce più. E anche gli occhiali sgocciolanti le gocce che picchiano si fan presto abitudine. La gente svuota le case. I vigili e i pompieri lampeggiano blu.
I vecchietti fan quel che faccio io, ma con l’ombrello e camminando.
Poi prendo l’auto e tutto cambia. Ai lati della strada, dove prima c’erano i campi, ora c’è il mare. Un mare marrone, che ti nasconde i fossi e i rame, nasconde le cunette, i dossi. Un mare che ti osserva dal ciglio e fa sentire come camminare sul baratro.
E fa paura.
Fa paura stando in auto. Perché l’auto stacca il filo che lega alla terra, al correre, al camminare, al nuotare, al fuggire. L’auto ti obbliga vicino a una striscia bianca, che fa “ssshhh” di continuo. E questa paura è questo di libertà. Di una trappola, di una prigione. Poi l’acqua torna a correre. Non si ferma più, e la paura scorre, e non si ferma più, ne a ridere, ne a chiacchierare.


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